su Gioia: come abbiamo smesso di essere contadini

Ecco l’intervista uscita oggi su Gioia.

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Raffaella Romagnolo: come abbiamo smesso di essere contadini

Un matrimonio senza amore con un uomo brutto e zoppo. Un maniscalco errante e seduttore. E le nascite, le morti, i testamenti a favore dell’unico figlio maschio nella campagna piemontese. Nel romanzo La masnà, le tragedie della Storia, gli orrori domestici irrompono senza clamore, come crepe silenziose in un vecchio intonaco. E tre donne stanno a guardare

di Manuela Grassi – foto Gughi Fassino

Raffaella Romagnolo è una piemontese quarantenne, alta, dai lineamenti gentili. Vive con il marito a Ovada, nell’Alto Monferrato, e in queste terre di vigne e fabbrichette che conosce e ama senza riserve, ha ambientato il suo secondo romanzo, La masnà. L’editore Piemme, che lo ha pubblicato il 7 febbraio, ci punta parecchio. «Il titolo, in dialetto, significa bambino, prole, qualcuno che non può decidere per sé e deve essere protetto», spiega la scrittrice dai tranquilli occhi azzurri. Le masnà di questa saga familiare che parte dall’Italia fascista del 1935 e arriva alla fine degli anni Novanta sono tre: Emma Bonelli, la nonna; Luciana, sua figlia e Anna, sua nipote. Si comincia dal matrimonio senza amore di Emma con Eugenio, detto Genio. Il cognome della sua famiglia è stato sostituito con «Francesi» da quando, anni prima, due parenti andarono a lavorare Oltralpe. Genio è zoppo, brutto, schiacciato da un padre padrone, il Ferroviere (così soprannominato per la sua ambita professione). Anche Emma non è bella, è povera, ma garantisce un’inesauribile forza lavoro. La sua sarà una vita di fatica e silenzio nella casa dei Francesi, tra la vigna, l’orto e la cucina. Il suo destino sarà sempre deciso da altri: «’l parun l’sa», il padrone sa cosa è meglio fare, è il suo mantra rinunciatario. Non andrà meglio alla figlia Luciana, giovane e piena di vita alla fine degli anni Sessanta (colonna sonora fatta di twist, shake e cha cha cha) e poi moglie dell’anaffettivo Franco Cermelli. Condizionata dall’atmosfera familiare, non avrà il coraggio di dire che, al matrimonio, preferisce il suo lavoro di stiratrice alla Sartoria Fratelli Bondiglio, «l’aristocrazia della camicia operaia».

Sarà la giovane Anna a portare a compimento il cammino di emancipazione delle tre donne. In queste pagine dallo stile impeccabile e dai dettagli spietati, la lingua è intessuta di dialetto, il tono sommesso, quotidiano: le tragedie della Storia, gli orrori domestici irrompono senza clamore, come crepe silenziose in un vecchio intonaco.

Da dove arriva La masnà?
Volevo raccontare come abbiamo smesso di essere contadini, anzi, contadine. Uno scorcio lungo del Novecento, nella mia terra, da un punto di vista femminile. Gli eventi che hanno luogo nella casa dei Francesi, le nascite, le morti, la guerra, i testamenti a favore dell’unico figlio maschio, l’esilio delle femmine, tutto visto con lo sguardo delle donne. Non è autobiografico, ma la temperie emotiva è personale, l’atmosfera memoriale.

Ha esordito con L’amante di città.
Un giallo alla Fruttero & Lucentini, per citare un modello alto, ambientato nella zona dove vivo. Pur essendo uscito da un piccolo editore, Fratelli Frilli, ha avuto un’accoglienza molto buona. Mi sono sentita incoraggiata. In realtà era quest’altra storia che volevo raccontare.

Che cosa fa per vivere?
Lavoro in una società informatica. Mi sono laureata in Lettere a Genova, con Edoardo Sanguineti, tesi sul libro Cuore. Poi ho fatto il dottorato in Scienze letterarie a Pavia, con Franco Gavazzeni. Ho studiato le lettere di Ugo Foscolo ad Antonietta Fagnani Arese, un lavoro molto filologico.

Ma quando trova il tempo per scrivere?
Da quattro anni ho scelto il part time proprio per potermi dedicare alla scrittura.

Frequenta un mondo letterario?
A Ovada?!

Ha nostalgia per il mondo di ieri? I ciliegi nel cortile della casa dei Francesi che Emma, Luciana e Anna sono costrette a lasciare, sanno di Cechov.
Non ho nostalgia per quel mondo, ma per il mondo dell’infanzia sì; la stessa che ha Anna, la più giovane delle tre masnà, per un’età in cui era tutelata dai dolori che oggi deve affrontare. Ma vite come quella della nonna Emma Bonelli non possono certo essere oggetto di rimpianto.

La prima notte di nozze di Emma con Genio non è da augurare alla peggior nemica.
Innamorati non erano e neppure attratti. Lei, con ogni probabilità, era arrivata vergine, lui no. Questa notte in qualche modo doveva passare.

Imprevedibilmente, a farle conoscere il piacere fisico arriva un maniscalco che sembra la versione proletaria di Cazotte, l’artista seduttore di Karen Blixen.
Mentre scrivevo mi sono un po’ impietosita di questa Emma senza luce nella vita, così mi sono inventata un dongiovanni un po’ fiabesco. Ma la figura del maniscalco errante esisteva davvero, girava fattoria per fattoria a curare gli animali.

La Storia compare nel suo romanzo come sfondo, con l’irruzione di un personaggio come Carlin d’la Moisa, un giovanissimo partigiano che Emma nasconde in cantina per una notte.
L’Alto Monferrato dove vivo adesso ha una storia resistenziale pesante, che è contigua a quella delle Langhe e ha ispirato una letteratura importante, come quella di Beppe Fenoglio. La parte dove sono nata, il Monferrato Casalese che appare nella prima parte del romanzo, ha una storia diversa, ha dato vita a bande di ragazzi renitenti alla leva che hanno cercato di organizzarsi e sono stati sterminati. Quindi un personaggio giovane e ribelle come il Carlin è credibile.

La vita delle sue contadine cambia anche per questa irruzione violenta?
La guerra accelera, ma è il il passaggio dal campo alla fabbrica che segna la trasformazione. Com’era il loro presente? È una domanda legittima, credo.

La lontananza dalla città percorre tutto il libro.
Racconto la vita in provincia dove tutto arriva attutito: la notizia del ritrovamento del corpo di Aldo Moro, nel maggio 1978, è un’intrusione da un mondo lontano, mentre Emma e Luciana sono alle prese con Anna che non riesce a imparare ad andare in bicicletta. Volevo marcare la distanza, la notizia arriva per televisione e non incide sulle loro vite.

Non le piacciono gli eroi?
Mi infastidiscono le ricostruzioni degli anni 60 – 70 solo dalla parte dei protagonisti. Non ne metto in discussione la realtà, ma la maggioranza l’ha vissuta in un altro modo, pur patendone le conseguenze. Le mie «eroine» non vivono storie eccezionali, ma di ordinaria difficoltà. Preferisco le donne che trovano la forza per ribaltare la propria vita, anche se non hanno più vent’anni.

LESSICO FAMILIARE

Un glossario essenziale dei vocaboli e delle frasi piemontesi che compaiono nel romanzo La masnà di Raffaella Romagnolo.
«Arbiun»: piselli – «Articioch»: carciofi – «Boiafaus»: imprecazione – «Bùggia»: muoviti – «Citu»: stai zitto – «Cun la tumatica»: con il pomodoro – «da scundun»: di nascosto – «Moisa»: scriteriata, matta – «N’anviaron»: una spinta – «Pisùn»: il sesso femminile – «Sara j’öcc e drom. Robi lunghi menu vissi»: chiudi gli occhi e dormi. Le cose tirate in lungo portano danno – «Savattin»: ciabattino «Sghiruna»: sprecona – «Sicot»: zucchine – «Ta smia?»: ti sembra?

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