Lo stregone di Sottoripa

Ho scritto questo incipit di racconto per la prima edizione del Festival Incipit di Genova. E’ stato pubblicato su «Il secolo XIX» del 6 dicembre 2018, in occasione del readung di Destino al Galata Museo del Mare.

LO STREGONE DI SOTTORIPA

«Si può aggiustare?» chiede l’uomo.

Domanda idiota, e l’orologiaio non risponde. Mille anni che sta qui, e non ha mai risposto a domande simili. Non direttamente, almeno. Neppure alza gli occhi. Si è concesso uno sguardo solo quando la sagoma dell’uomo ha oscurato il triangolo di luce che, una volta al giorno, spezza il buio di Sottoripa ed entra in bottega come un coltello nelle viscere, rimescolandole in un turbine di pulviscolo dorato.

«Allora, può ripararlo?»

Come fosse questione di abilità, o di attrezzi. Come si trattasse di un’auto o un tostapane. La luce del sole appende medaglioni nell’oscurità. Rigirala come vuoi, è una domanda idiota. Con una mano l’orologiaio fa scorrere il cassetto del tavolo, a memoria ne cava un cacciavite filiforme, con l’altra mano aggancia la lente all’occhio buono e poi apre il coperchio posteriore dell’orologio che l’uomo ha appena sfilato dal polso.

«Se non si può aggiustare, lo butto. Oggigiorno, col cellulare, lei capisce».

Occhi sul meccanismo, l’orologiaio avverte appena il movimento della mano che sventola un pataccone lucido e sottile. Ci mancava il cellulare. Insomma! Vorrebbe dirgli ma non gli dice. Mille anni che non dà risposte dirette. Insomma! Un orologio è un orologio, mica un telefono! L’orologiaio non ama far della filosofia, lui è uno concreto, viti e bulloni, casa e bottega, ma questo è l’abc: un orologio è un orologio e di mestiere fa l’orologio, cioè misura il Tempo.

MISURA. IL. TEMPO.

E se si ferma, c’è un motivo. Macché batteria, non c’entra la batteria! L’orologiaio sa che gli uomini sono lenti a capire, così, nell’attesa, avvicina la cassa al monocolo e perfora con lo sguardo la rosa degli ingranaggi. Albero di carica, bariletto, bilancere, cricchetto: che meraviglia! Sente che l’uomo sta cercando altre parole. Che sia un Viaggiatore, non c’è dubbio. Non che abbia con sé una valigia, non che indossi scarpe comode o un cappellino con la visiera parasole come i turisti che la stazione di Principe rovescia a secchiate giù per i vicoli. Non è il suo aspetto, a svelarne la natura, è l’impazienza, il fremito mentre ripete ancora: «Che ne dice? Si può riparare?».

I Viaggiatori non hanno casa, non hanno requie, i Viaggiatori vanno. Adesso però fermati, pensa l’orologiaio. Osserva, Viaggiatore, la precisione di questa vite fermacassa. Osserva, e poi fatti la domanda giusta: se le lancetta dei secondi è immobile, se quella delle ore è inchiodata, non sarà che si è fermato il Tempo? Questo pensa l’orologiaio, ma non dice nulla.

«Non era mai successo, è un buon orologio».

Silenzio.

«Ce l’ho da una vita».

Ancora silenzio, ma adesso l’orologiaio ha l’impressione di sentire nella voce dell’uomo un’incrinatura. Forse il Viaggiatore ha un sospetto, forse comincia a intuire qualcosa. D’altronde la magia non è cosa che si capisca al volo. Anche per lui è stato un lungo apprendistato: pestilenze, inondazioni, mareggiate, filibustieri, incursioni, rappresaglie, macerie, ponti che saltano, o crollano. E ogni volta, dopo, il Tempo fermo, immobile. E cuori che saltano un battito.

«Serve mica un ricambio?».

Gli uomini sono lenti a capire. L’orologiaio sfila il monocolo, posa sul ripiano l’orologio aperto, con delicatezza, un bambino che adagi un uccellino squartato. Pianta gli occhi in un punto aldilà della porta, oltre le arcate massiccie di Sottoripa, e finalmente parla: «Raccontami. Com’è che si è fermato?». Ha una voce fonda, scura come la bottega.

Il Viaggiatore si volta anche lui verso l’azzurro. Palazzo San Giorgio proietta ombre rigide, sembra un quadro di De Chirico. I bracci del Bigo sono dita puntate contro il cielo. Sulla Sopraelevata le auto in coda attendono immobili, silenziose.

«Ero qui» dice l’uomo, ma poi si blocca. Qualcosa gli rabbuia la mente, un velo nero, tanto che porta una mano alla bocca. «Coraggio, Viaggiatore. Racconta».

«A che serve?» domanda l’uomo.

L’orologiaio ha la faccia tutta rughe, da stregone. «Il Tempo si è fermato, Viaggiatore. Non vuoi che riparta?». Gli uomini stentano a capire, il Viaggiatore non fa eccezione. «Dimmi cosa è accaduto, per filo e per segno, con tutti i dettagli. Racconta. Non conosco incantesimo più potente, né altro modo per ricominciare».

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