Sul quotidiano Il secolo XIX del 21 giugno 2022 è stata pubblicata questa mia riflessione sul ritorno degli scritti all’esame di Stato.
La regola non scritta del mestiere di cronista è che una buona notizia, cioè una notizia degna di stare sul giornale, è, di norma, una cattiva notizia. Questo articolo rappresenta una gioiosa eccezione perché ciò di cui si dà conto è cosa da festeggiare proprio, da brindare tutti insieme e, nel tempo cupo che viviamo, da aprirci tutti i tg: dopo due anni, due anni terribili, domani torna lo scritto di Italiano. Riprendiamo a celebrare il doveroso, emozionante rito di passaggio di una nuova generazione, i ragazzi e le ragazze del 2003 (più qualcuno che volentieri accogliamo nel gruppo). Staremo ad almeno un metro di distanza, e molti di noi porteranno ancora la mascherina, che è raccomandata. Ma l’importante è che ci saremo. E non parlo da prof, e neanche da scrittrice: parlo da cittadina, perché domani, con i suoi ragazzi, è il Paese intero che riparte.
Esagero? Provo a spiegarmi. Due cose, secondo me, sono mancate negli esami al tempo del Covid. Mancate ai ragazzi, intendo, e di conseguenza alla collettività. La prima è proprio misurarsi con il tema. Si sono allenati per anni, cinque di elementari, tre di medie e cinque di superiori, e persino in DAD. Stampatello maiuscolo, minuscolo, corsivo, pensierini, analisi grammaticale, logica, del periodo, riassunti, parafrasi e finalmente il tema. Li abbiamo allenati, per anni, con un unico scopo: padroneggiare la lingua scritta. Grande successo evolutivo della nostra specie, visto animali parlanti esistono, ma a scrivere siamo solo noi. E cosa di non poca utilità, e questo lo scrivo per chi glorifica il binomio scuola/lavoro: il mondo, là fuori, è pieno di relazioni da scrivere, memorandum, offerte commerciali, mail di sollecito, richieste di chiarimento, e quindi è meglio essere pronti a maneggiare connettivi, consecutio e punteggiatura. Aggiungo anche sommessamente, per chi al binomio scuola/lavoro antepone quello scuola/cittadinanza, che non avremmo Storia senza scrittura e, soprattutto, che chi sa scrivere sa pensare. Meglio: chi sa scrivere dimostra di saper pensare. Il tema, prova principe, e pur soggetta alla fallibilità di chi valuta, il tema questo esattamente certifica: se sai pensare.
La seconda cosa che è mancata ai ragazzi nelle due maturità dell’era Covid, e quindi alla società che li accoglie come cittadini, è qualcosa di più generale, quasi filosofico, ossia l’Incertezza. Gli sconosciuti che, da qualche parte, a Roma, al Ministero, formulano le sette tracce per i maturandi del Paese. Non più il tema che ti assegna il tuo insegnante, ma la stessa prova uguale per tutti, chi fa il Classico e chi chiude il percorso in un Professionale. Tutti, proprio tutti i maturandi dell’estate 2022. Ed è anche per questa via, ripristinando cioè l’Incertezza, che l’Esame di Stato torna ad essere ciò che deve: non solo, e non tanto, il momento in cui si certificano competenze acquisite nei precedenti tredici anni di scuola (per quello bastano i prof). Ma uno di quei luminosi momenti in cui capisci come gira il mondo, e come le cose siano figlie del caso. Come, per dirla con Machiavelli, “la fortuna sia arbitra di metà delle azioni nostre”, e che sta a te “governare l’altra metà”, ossia trovare una strada – la tua – e cavarti dagli impicci (notevolissima, a mio avviso, competenza di “cittadinanza”). Ecco, il tema di domani, sei ore di tempo per mettere nero su bianco il tuo punto di vista riguardo all’argomento che il destino ti ha assegnato, è (anche) questa cosa qui.