
Comoda la vita nei romanzi. Prendete Amedeo, il protagonista di “Respira con me”. Sedicenne, che significa problemi, e vita incasinatissima. Gli bastano un paio di giorni in montagna (e un paio di notti) per imparare un mondo di cose su di sé, sul padre, la madre, il fratello, sull’amore, il dolore e la paura. Quarantotto ore, pari a circa 133 pagine, pochissime. Un romanzo non è la vita, checché ne dicano i professori. Al massimo, è un corso accelerato di vita.
A imparare qualcosa in montagna io ad esempio ho impiegato anni. Scarpinate, insolazioni, acquazzoni, rifugi, guide, cadute, corse, temporali, serpenti, spaventi. E, a conti fatti, ho imparato cinque o sei cosette, non di più.
La fatica è un piacere.
In cima sei solo a metà.
Niente illusioni: la discesa può essere peggio della salita.
Una meta serve. Senza, non si va – letteralmente – da nessuna parte.
La meta non esiste, esiste solo il percorso.
Non sei ancora arrivato, e già pensi a ripartire.
Rileggo. Nella scrittura è uguale, penso.
A scuola – faccio l’insegnante – uguale.
A scuola – quando ero studente – uguale.
La montagna allora è Scuola, cioè un posto dove impari quello che serve a stare al mondo. E di colpo capisco perchè il mio sedicenne incasinatissimo l’ho spedito a conquistare Punta Liberté
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