“Pioniere” l’hanno intitolata. A Genova una mostra in piazza De Ferrari presenta volti famosi e persone comuni. Il mio contributo per Il secolo XIX (7 marzo 2023).
Risalendo a ritroso il sentiero dell’etimologia, scopro che la parola “pioniere”, francesismo, ha tutto un suo significato di guerra e fatica. Un migliaio di anni fa “pionnier” indicava infatti il fante, il soldato che va a piedi, etimo latino identico all’italiano “pedone”. Anche lui, il pedone delle origini, non un semplice camminatore, ma un uomo in armi e con un compito definito: costruire trincee, ponti e camminamenti, disboscare, sbadilare, tirare su baracche e rifugi aprendo la strada al resto della truppa. Così il vocabolario. Quanto alla parola “pioniera”, il dizionario liquida la questione alla svelta. La cosa non stupisce trattandosi, la femmina, di accidente della sostanza, come direbbero i filosofi antichi: esiste il pioniere, maschile (sostanza), e di certo esisterà da qualche parte anche la femmina, ma è un “di cui”, un caso particolare, abbreviabile infatti in “f. –a”. Pionier-a. E tanto basta.
Veramente non basta, ma via, non mi va di sprecare queste poche righe polemizzando contro l’impostazione maschilista dei vocabolari. Faccenda di cui altre si stanno già occupando più autorevolmente e che, a dirla tutta, poco mi appassiona. Mi appassionano loro, invece, le pioniere. Femminile e plurale.
Mi guardano dalle gigantografie. Sono atlete, ricamatrici, puericultrici, sarte, bottegaie, attiviste che l’archivio Francesco Leoni restituisce alla collettività, al discorso pubblico cioè, nei giorni intorno all’8 marzo. A vederle così tutte insieme, donne famose e donne comuni, ho la sensazione che la piazza di allarghi e si riempia. Operaie, insegnanti, attrici, edicolanti. “Dove eravate finite?” domando. “Dove vi avevano nascoste?” E anche: “Possibile che ci voglia l’8 marzo perché finalmente ci si accorga di voi?”
Le più, in foto sorridono. Ma siccome l’etimologia non mente, dietro i sorrisi, oltre il bianco e nero che le fa eleganti e lontane, avverto il picchiare duro della battaglia.
Battaglia di ieri, certo, ma anche di oggi. La stessa di chi, in questo presente accelerato, assume su di sé quel ruolo pugnace di apripista che, con buona pace dei compilatori di dizionari, sta tanto nella parola “pioniere” quanto nella parola “pioniera”.
È battaglia quando l’astronauta si sente domandare chi si occuperà della prole mentre lei fluttuerà nello spazio, e la stessa domanda mai si rivolgerebbe a un collega maschio. È battaglia quando, ad un traguardo raggiunto, una medaglia, un primato, le donne perdono il cognome e la comunicazione le depotenzia a nome di battesimo. È battaglia ogni volta che scorriamo l’albo d’oro dei principali riconoscimenti scientifici e letterari e l’imbarazzante sproporzione tra maschi e femmine ha la durezza di una rimozione da indagare con gli strumenti della psicanalisi. Un’autentica follia, insomma. Chi si ricorda di Rosalind Franklin che, negli stessi anni delle foto che sto guardando, diede un contributo essenziale alla scoperta del DNA, ma i meriti e il Nobel andarono ai due maschi Watson e Crick?
Aveva talento, Rosalind Franklin. Ce l’hanno tutti i pionieri e le pioniere, e parlando di talenti mi viene in mente la parabola, per me la più dura del Vangelo. Al servo che, invece di farlo fruttare, ha seppellito il suo talento, il padrone pronostica “pianto e stridor di denti”, cioè l’inferno in Terra. Ecco, mi dico, c’è un aspetto dell’essere pioniere, un tratto mite e accogliente che proprio con questa idea di talento ha a che fare.
Per spiegarmi torno al dizionario. Esistono, dice, le “piante pioniere”. Organismi viventi che colonizzano luoghi inabitabili e li trasformano in ambienti ospitali per le altre specie vegetali. Si diffondono dove non cresce nulla, prendono possesso di frane, colate laviche, rocce. S’infiltrano nelle fessure, si aggrappano con forza, resistono al vento, al gelo, combattono e convertono la sabbia in confortevole terriccio, e così dietro di loro cominciano ad arrivare fiori, arbusti, piante d’alto fusto e animali, e perfino l’essere umano. Le piante pioniere allargano lo spazio vitale, insomma, e facendolo per sé lo fanno per tutti. Così vedo queste donne pioniere, di ieri e di oggi. Donne che immaginano vita dove nessuno la vede, oltre gli steccati del patriarcato, e immaginandola per sé la mostrano a tutti. E a tutti parlano, uomini e donne, indicando la strada. Cerca il tuo talento, dicono, non seppellirlo, abbi il coraggio di metterlo a frutto. Dimentica l’inferno, che qui c’è posto per tutti. Qui si può vivere, tutti, meglio.
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